SE C’È TRISTEZZA E AMAREZZA LA FAMIGLIA HA DIFFICOLTÀ A VIVERE IL LUTTO
SE C’È TRISTEZZA E AMAREZZA
LA FAMIGLIA HA DIFFICOLTÀ
A VIVERE IL LUTTO
Tristezza e Amarezza sono due emozioni che corrispondono
ai due lobi cerebrali e identificano la capacità di vivere in equilibrio
tra le istanze concrete e razionali dell’emisfero sinistro
e quelle irrazionali ed intuitive di quello destro.
La Tristezza è la più “concreta” delle emozioni,
perché uno è triste perché “sa” sempre
il motivo della sua tristezza.
L’Amarezza è la più “irrazionale” tra le emozioni,
perché chi è amareggiato è in un disagio profondo,
ma non conosce il motivo e l’origine del suo “star male”.
“Sto male, ma non so perché!”
E’ l’emozione principe dell’adolescenza,
quando il “mal di vivere” diventava il cibo quotidiano del giovane.
Se vogliamo scandagliare più in profondità le due emozioni
dobbiamo metterle in relazione con la morte.
Chi sa fare il lutto è triste e concreto,
perché raggiunge e comprende la coerenza della morte.
Tutto ciò che nasce è anche destinato a morire
e le lacrime versate dalla tristezza sono perle preziose
che permettono al soggetto di accettare il dolore della perdita
e di restare così ancorato alla realtà.
C’è un tempo per piangere il dolore della perdita
e per porre quel dolore nel nostro cuore.
Colui che riesce a fare il lutto,
dimostra sempre una intelligenza superiore agli altri,
perché conosce il tempo del lutto,
sa che quel dolore non sarà infinito ed eterno
e che nessuno può permettersi
di permanere in quello stato indefinitamente,
poiché la vita deve presto riprendere il suo corso.
Colui che ha come imprinting la TRISTEZZA
mantiene sempre la sua lucidità e precisione temporale,
dà tempo di maturazione al lutto,
ma poi torna nel flusso normale della vita
e accusa con molta decisione e spesso aggressività,
coloro che permangono nel dolore del lutto
perché escono “fuori dal tempo”,
permanendo nell’errore dell’a-temporalità.
Questi ultimi altresì, si sentono sempre accusati
e vivono quei rimproveri come un attacco
alla propria emozione, come un tentativo di negare
il proprio diritto di viversi in santa pace il proprio dolore.
Colui che sa vivere la tristezza la percepisce
come un moto dell’anima per accogliere il dolore
inteso come un ingrediente dell’esistenza,
ma non come la sua inderogabile Weltanshaaung (visione).
L’amarezza non è altro che una tristezza
che ha fatto inceppare il normale scorrimento temporale,
trasformando la giustizia del lutto in errore,
perché ha perso il ricordo della sua origine.
“Sto male, ma non so più perché!”
Un esempio biologico di questo passaggio
è il femminile quando non riesce a fare il lutto
su un bambino morto in tenera età,
entrando spesso in depressione cronica
e mettendo a repentaglio la vita degli altri figli.
La morte di quel bambino rischia di diventare
l'identità degli altri figli rimastiin vita.
Un altro esempio è una persona
totalmente innamorata di un’altra
e che vive nella sua luce riflessa:
se questa dovesse morire improvvisamente,
lei si ritroverebbe immersa nelle tenebre,
dalle quali non potrebbe più uscire.
Quel vissuto trasforma la tristezza della perdita
nell’identità dell’amarezza.
Così tengono fermo il mortuum
e lo trasformano nella fonte energetica
per alimentare la propria esistenza
che è stata privata di senso.
L’AMAREZZA è la coscienza del vuoto,
è il sapore delle ceneri che restano come residuo
della pira bruciata, palesando il vuoto di una presenza.
Se la TRISTEZZA è il concretum dell’inumazione,
perché si piange un corpo che viene conservato nella tomba
e di cui si mantiene il ricordo rappresentato
dalle sue vestigia umane;
l’AMAREZZA, di contro, è l’impalpabile
assenza della cremazione,
dove anche le vestigia si sono dileguate,
tutto è volato via, è tornato all’Origine.
TRISTEZZA
L’intelligenza delle origini passa
attraverso l’esperienza della morte.
E’ la morte che mi rivela il mio unico possesso
in questa esistenza: un tempo definito.
E’ questa coscienza che mi dona l’intelligenza
di raggiungere velocemente quello che voglio costruire,
perché il tempo non sarà infinito.
La tristezza è in sintonia con l’intelligenza biologica
che si affretta nella necessità
di dover risolvere velocemente il conflitto,
prima di superare i tempi biologici concessi.
Non siamo in questa esistenza per aspettare la morte,
ma per evolvere, risolvendo le problematiche incontrate.
Il Problema è sempre ciò che ci ferma
e non c’è nulla che ci ferma di più di una perdita.
Per questo interviene la Tristezza,
con l’urgenza di fare velocemente il lutto
per piangere ogni nostra lacrima
e dopo ritornare nel mare dell’azione,
riprendendo il movimento e l’urgenza della scelta.
La TRISTEZZA ha ben chiaro lo scorrere del tempo,
ed ha sempre coscienza del cambiamento
e la visione di una progettualità.
AMAREZZA
La morte procura un vuoto emozionale
che rischia di non venire calato nella corporeità del fisico,
ma proiettato come non-senso nell’immaginario della persona,
diventando così giustificazione alla mancata azione.
L’Amarezza sospende il tempo
ed avvolge la persona nel gorgo di un vissuto
che ha perso anche la motivazione del proprio star male.
Così lo “star male” si trasforma nell’identità del soggetto,
simile alla disgrazia di chi vive un lutto a vita,
dove anche il mortuum è stato perso,
mantenendo solo la sensazione dell’amaro in bocca
che trasforma ogni moto dell’anima in disgusto.
Per recuperare e sciogliere momentaneamente
quel disgusto ho bisogno di cercare un “nuovo gusto”
che riempia per un attimo il vuoto percepito.
E così l’Amarezza diventa la MADRE di ogni DIPENDENZA.
Ho bisogno, anzi necessità di assumere
vino, alcool, medicine, droghe; di perdermi nell’affettività malata,
negli sport estremi, nel sesso pantagruelico, nella bellezza dell’arte.
Qualsiasi elemento esterno può diventare la mia dipendenza,
basta che mi rassicuri sul fatto
che nulla e nessuno riuscirà mai a colmare quel vuoto.
L’Amarezza è il culto
di una religione del NON-ESSERE.
Colui che vive nell’Amarezza ha sempre una pulsione artistica,
il medesimo spirito di un sacerdote
che difende la sua Teologia Negativa
che non potrà mai vedere Dio proiettato in nessun ente.
E l’Assenza di Dio è così totale da raggiungere il Nulla.
E’ proprio questo che crea la tensione della creazione artistica,
che cerca sempre di manifestare la presenza in una assenza.
Similmente all’Amarezza anche nella Dipendenza
emerge il tentativo di permanere in uno stato di NON-ESSERE
per tentare di muovere l’ESSERE verso di sé.
Per questo esiste, nella persona annebbiata dalla “dipendenza”,
una lucida volontà manipolatoria nei confronti degli altri.
La vita non prevede la gratuita auto-distruttività del non-essere,
per questo se qualcuno mostra le proprie intenzioni suicide,
tutta l’esistenza si prodiga per ridargli nuove speranze e chance di vita.
Non è una pulsione perbenista,
ma il funzionamento inconscio dell’energia vitale.
Chi vive nell’Amarezza non concepisce la vita come esperienza,
né accede allo scorrimento temporale;
piuttosto percepisce l’esistere come il pulsare di una stella
dove si scontrano le opposte istanze
dell’apparire e dello scomparire.
E’ la visione fusionale del magma stellare
dove la materia non si è resa ancora stabile
e scompare scontrandosi con l’antimateria.
L’amareggiato, l’artista, il sacerdote del Nulla,
appaiono come coraggiosi, perché camminano senza paura
sui cornicioni dell’esistenza,
ma conoscono il funzionamento dell’Energia e sanno che
c’è sempre una crocerossina abnegante
o un prete petulante che si avvicina loro per salvarli.
L’Amarezza è il rifiuto della temporalità
e anche una SFIDA al mondo.
“Provatevi a salvarmi, tanto non ci riuscirete!
E poi ricordate che, se lo fate, io nulla ho chiesto
e vi prenderete il karma della vostra arroganza
e della vostra sconfitta!”
L’Amarezza è lucida nel conoscere
il funzionamento dell’Energia e la sa utilizzare a suo pro.
L’Amarezza perde la via,
ma recupera da tutti l’energia sufficiente
per vivere oltre i propri limiti:
semplicemente sa utilizzare la morte
per ricattare il mondo intorno a sé.
Mentre la TRISTEZZA accusa gli altri
di non essere nella verità del flusso temporale;
L’AMAREZZA ricatta la Vita intera e chiede
continuamente all’altro che gli dimostri il motivo vero e giusto
per permanere in questa squallida esistenza.
L’Amarezza è lì per mettere in crisi
ogni altrui motivazione a vivere.
L’AMAREZZA prende il pieno possesso
della manipolazione materna e la utilizza
per piegare per sé il flusso delle cose.
Piega la curva temporale bestemmiando il Padre
che desidera il figlio nella concretezza del tempo.
L’Amarezza utilizza il Vuoto per annichilire il Tempo.
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