SE C'È PAURA E ANSIA INSIEME NON SI CONOSCE LA DIFFERENZA TRA REALE E IMMAGINARIO
SE C'È PAURA E ANSIA INSIEME
NON SI CONOSCE LA DIFFERENZA
TRA REALE E IMMAGINARIO
L’emozione della PAURA riguarda sempre
il riconoscimento dell’autorità del paterno,
così come è stato elaborato e costruito dal materno per i propri figli.
Il padre non è solitamente molto presente nella famiglia italiana;
se ritorniamo a 100 anni fa il paterno doveva lavorare
per garantire le risorse di sopravvivenza della famiglia.
Così era la donna che alimentava nei figli
l’immagine idilliaca del padre
che veniva esaltato e portato alle stelle,
anche se la sua personalità reale non era certo così forte:
“Chiedi a tuo padre, lui sa tutto!”,
“E’ importante che tu fai come dice tuo padre,
perché lui conosce le cose!”, e così via…
La causa radice di questa emozione (la PAURA)
è un padre assente che è andato in guerra,
oppure è emigrato all’estero e torna a casa
ogni due o tre anni,
per rivedere la famiglia e mettere incinta la sua donna.
Su questa assenza periodica
si costruisce un fantastico immaginario.
Ovviamente per i figli era impossibile
far coincidere la figura del padre,
costruita dalla madre,
con la sua reale presenza.
Quello che vedevano era piuttosto
un uomo finito dalla guerra o distrutto dal lavoro
in terre lontane dove era oggetto
di discriminazione anche razziale.
Un uomo deluso e spento che non assomigliava
neanche lontanamente alle aspettative e all’idea
che di lui si era fatta la sua famiglia.
Nasce così nel figlio una totale discrepanza e distanza
tra quello che è REALE e quello che è IMMAGINATO;
tra l’assenza e la presenza;
tra quello che è e quello che avrebbe dovuto essere.
La percezione di tutti (tranne del padre)
era che per la famiglia era molto più semplice
vivere e gestire l’esistenza quando il padre non c’era,
perché la sua presenza innescava terribili dinamiche:
i figli venivano messi da parte
e tutta l’attenzione della madre era rivolta a seguire
le fobie del paterno che doveva
recuperare i disagi delle sue esperienze.
Il figlio doveva così imparare a vivere
nel sacrificio del passato,
nell’attesa che tornasse un padre
molto sponsorizzato dal materno,
ma che si era rivelato e mostrato in tutti i suoi limiti.
Dunque “mia madre non mi ha detto la verità
ed io non so più a chi credere:
vedo mio padre nel suo limite affettivo
e mia madre pascersi nel suo mondo immaginario
e a me non restano che due scelte:
o la paura del passato o l’ansia per il futuro.”
Nel caso della PAURA:
Sono solo nella mia esistenza,
sia a livello emotivo che intellettuale
e non posso credere né all’immaginario di mia madre,
né alle reali capacità di mio padre.
Devo costruirmi da solo un futuro
facendo emergere i miei talenti.
Devo staccarmi da entrambi i clan di appartenenza
e così parto, pieno di paure,
verso la mia esperienza di vita.
Questa è la migliore delle partenze,
perché è l’unica che permette di contare
sempre e soltanto su noi stessi.
Questa persona non avrà mai bisogno di stampelle
nella sua esistenza e non riporrà mai
in un’altra persona le proprie speranze,
anzi, sarà lui stesso a diventare
un punto di riferimento per gli altri.
Nella PAURA la persona diventa adulta
perché accetta il RIFIUTO della vita e dell’esistenza.
Prende coscienza che il proprio vissuto è stato demolito,
l’attesa si è vanificata e ogni aggancio alla realtà è stato tolto.
Questa persona sa che la madre è sincera
quando tesse le lodi del padre,
ma non può pretendere di essere anche oggettiva;
l’immaginario è utile per vivere meglio,
ma non mi fa entrare nella verità.
La persona che sceglie la PAURA
ha bisogno di rientrare nella VERITA’.
Così decide: “Voglio prendere le distanze dalla mia famiglia,
ma non so come se ne costruisca una nuova”.
Prima entra in panico, ma poi accetta la sfida:
“Nella mia vita costruirò qualcosa
con cui potrò dimostrare che
posso essere oltreché sincero, anche vero!
Accetterò la sfida del tempo e del cambiamento
e costruirò un altro immaginario”.
Si tratta di seppellire il padre nel passato,
accettando il dolore del rifiuto.
E’ un vero e proprio lutto
e occorre piangere su quel vissuto immaginato.
Allora la persona potrà vivere la sua esistenza
"con" la PAURA,
come se fosse la sua vera consigliera,
accettando la responsabilità dell’azione
e l’esistenza di una legge di causa ed effetto.
La paura è l’avvertimento inconscio
perché dobbiamo capire che il ritorno che viviamo
deriva da un’azione che abbiamo compiuto nel passato.
Essere adulti significa saper accettare a testa alta quel ritorno.
Solitamente le persone che vivono il proprio imprinting
nell’emozione della PAURA diventano dei resilienti
e saranno nella vita imprenditori di se stessi;
daranno sicuramente lavoro ad altri
e costruiranno la loro affettività
su qualcosa di concreto e tangibile,
sul benessere economico di una comunità di persone.
Per loro l’affettività senza concretezza economica
non ha alcun senso e può diventare assolutamente aleatoria.
La PAURA è il fondamento di ogni RESILIENZA.
La PAURA rappresenta il PUNGOLO del maschile
che da dietro costringe il figlio ad andare avanti comunque ed agire.
La PAURA è aver fatto i conti con la morte.
Nel caso dell’ANSIA:
Invece di guardare all’esperienza vissuta e farne tesoro,
con il conseguente prendersi sulle spalle
la prova della responsabilità e della scelta,
la persona preferisce scaricare tutto sugli altri
e poiché non sostiene la paura
che ha vissuto nel passato,
la proietta nel futuro
materializzandola come ansia.
Non va a cercare dentro di sé i talenti di cui è ricco
e non avendo alcun obiettivo,
sostituisce la motivazione all’agire
con l’ansia o l’attacco di panico.
Si blocca ed aspetta che qualcuno o qualcosa
lo tiri fuori dall’impasse.
L’ANSIA come imprinting significa
sentirsi in balia di tutti,
perché è mancata la protezione del padre.
“Mia madre me l’ha decantato ed ha proiettato
la sua bellissima immagine sopra di me,
come una protezione.
Io ho vissuto nella sua attesa,
sperando che prima o poi
avrebbe aperto quella porta e mi avrebbe portato con sé,
rendendomi partecipe delle sue avventure,
dei suoi lavori, dei suoi talenti e dei suoi segreti”.
Ma quando questo non è avvenuto
il figlio non ha voluto seppellire suo padre
e ha finto di non vedere la sua
povera immagine di fallito;
ha voluto continuare a vivere il padre
come veniva descritto dall’immaginario del materno
alimentandolo in misura ancora più forte.
“La Realtà è stata troppo bella e non voglio distruggerla
e non voglio neanche entrare nel REALE,
mi fa troppo male.
Non so fare il lutto di quella morte
e mantengo il luccicare delle emozioni
alimentate dalla mente.
Così proietto la mia paura nel futuro”.
Nel momento in cui la REALTA’
si distanzia troppo dal REALE
avviene l’ATTACCO DI PANICO:
una specie di corto circuito che costringe la persona
a ritornare un attimo coi piedi per terra,
altrimenti volerebbe via nell’immaginario
senza tornare mai più.
L’attacco di panico è come il segnale che le due parti
– il REALE oggettivo e la REALTA’ immaginata e soggettiva –
si stanno totalmente scollando.
E’ solo per la salute mentale della persona
che avviene l’attacco di panico,
perché non si distanzi troppo dalla verità.
Così l’ATTACCO di PANICO risveglia il soggetto dal suo sogno,
quello di aver preso per buono l’immaginario del materno,
anche sapendo che non era vero,
costruendo sulla falsità la sua personale percezione della realtà.
Nonostante la persona abbia verificato con mano
che in quell’immaginario non ci sia alcun fondamento,
c’è una parte di lui che lo illude ancora a sperarci,
a farci conto e affidamento.
L’ANSIA rappresenta LA CAROTA del materno
che costruisce una motivazione fittizia sul davanti
per acchiappare qualcosa che non raggiungeremo mai.
L’ANSIA è l’incapacità di fare il lutto
(e questo è proprio del materno che,
se muore un bambino in tenera età,
non riesce mai risolvere il lutto)
e la forza di mantenere in vita il FANTASMA.
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