L’Archetipo della Nascita, la Sĕfirōt di Binàh: La PULSIONE VITALE (II°P.)

La nascita non esprime un progetto esterno, ma l’esperienza intima e personale che si ripercuote profondamente tra la madre e il nascituro. Quando il parto è veloce, normale, immediato, la relazione tra madre e figlio sarà fluida e tranquilla, quando purtroppo ci sono problemi nel giorno della nascita, la relazione madre-figlio/a sarà invece più difficoltosa e complessa.

La nascita ipostatizza il rapporto che ogni soggetto realizza con la propria MATRICE, con la propria Fonte ed è una esperienza sempre e solo subita, anche se può essere e dovrebbe essere piena di gioia.

Nella nascita è la Verità che comanda: la verità relativa alla madre, se davvero è pronta a ricevere suo figlio!

Perché comanda la verità? Perché è solo alla nascita che la femmina si rende conto di essere lei l’artefice di questo evento assolutamente unico e nuovo: lì, in quel momento, deve decidere se quello che sta per compiere è anche quello che lei vuole!

Ciò che nell’Energia Vitale era stato accettato per fede (avvenga di me secondo la tua parola – “Ecce Ancilla Domini!”) ora deve essere assunto come AZIONE, come decisione a far accadere l’evento, non più rinviabile. Non è più possibile delegare a Dio o alla saggezza del corpo il funzionamento del parto, ma la donna DEVE ESSERE PRESENTE ED ATTIVA in tutto il percorso espulsivo.

Se la nascita viene accompagnata dalla presenza tranquilla e autorevole del partner, che aiuta la donna a sostenere il dolore delle doglie e a dare un ritmo alla comune attesa, allora il parto viene condiviso ed il bambino è davvero figlio di entrambi.

Laddove invece la donna resta da sola ad affrontare questo evento, tutto rimane nelle sue mani ed a lei viene delegato il terribile potere di vita e di morte sul futuro bambino.

C’è un istante, quando parte il lungo percorso della nascita, che alla donna arriva la memoria ancestrale di tutte le madri che non ce l’hanno fatta e di tutti i bambini che sono morti nel parto. Dentro di sé la futura madre ha la coscienza del clan di suo padre e sua madre, ma possiede anche, nel bimbo che porta in grembo, il sangue di suo marito e il sangue porta il risentito anche dell’albero paterno.

Con l’arrivo delle doglie la femmina deve prendere in mano la situazione e non soccombere sotto il peso del dolore. Nell’attimo in cui arriva il pensiero di “mollare”, arriva il risentito degli alberi: “Se molli, salta tutto! Se molli metti in pericolo il bambino e te stessa!” In quell’attimo avviene la presa di coscienza: “Tollero ciò che sta avvenendo e sopporto anche il dolore perché questo essere indifeso, va aiutato, va protetto, a tutti i costi!”

In quell’istante la femmina diventa madre e la ragazza adulta. Sai che ti occuperai per sempre di quell’essere, che devi proteggerlo e accudirlo e aiutarlo a crescere.

Questa è la presa in carico della PROTEZIONE, l’obbligo che la donna ha verso ciò che ha generato. E’ l’impegno generazionale dell’ACCUDIMENTO.

Se la madre ha consapevolmente agevolato questa presa di coscienza, ha costruito le basi per un buon rapporto con il proprio figlio/a, laddove invece questa cognizione è mancata i figli avranno sempre delle difficoltà di relazione sociale. Quando qualcuno resta piacevolmente nel ricordo degli altri e non ha alcuna difficoltà ad entrare in qualsiasi relazione, significa che sua madre o suo padre, oppure una nonna o una zia della famiglia, sono stati molto accudenti con lui.

Il progetto senso di nostro padre, che incontriamo più avanti nell’esistenza, ci permette di percepire e concepire il concetto biologico di gerarchia: qualcosa che mi investe di un compito, di un obiettivo. Ma questo compito non mi obbliga ad alcuna sottomissione, perché un padre concepisce il figlio sempre come un soggetto che sta davanti a lui, come la sua espansione nel mondo.

La pulsione vitale, che si esprime nel parto, ci fa scoprire che il diritto di nascita è sempre e solo del materno che, proprio per il suo impulso protettivo, concepisce il figlio sempre sotto di lei, sotto la sua GIURISDIZIONE.

La nostra prima identità è la giurisdizione di nostra madre! “IO TI PROTEGGO” è la partenza di ogni IDENTITA’.

Per questo è sempre lecita la litania di una madre che ricorda a suo figlio: “Io ti ho dato la vita e ti mi devi… ascolto, presenza e alla fine protezione!” Questa pretesa del materno è giuridicamente corretta!

Grazie a Dio la protezione di mia madre è solo la PARTENZA della mia identità, perché la vera ORIGINE del mio essere risiede nel Progetto Senso di mio padre. Questo mi libera, perché senza il pensiero di mio padre, rimarrei schiavo del diritto di mia madre di legarmi alla sua PROTEZIONE ETERNA.

Il soggetto, quando entra in una situazione nuova, in un luogo sconosciuto, in una relazione ignota, ci mostra sempre la sua partenza, cioè il legame con sua madre, con la sua matrice, con la sua APPARENZA.