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IL CONFLITTO COME RIFIUTO DI SODDISFARE CIO’ DI CUI ABBIAMO BISOGNO

mar 27 set 2022
Nel conflitto vado in collisione e in urto tra quello che vorrei fare e quello che devo fare. Come se anteponessi ai miei bisogni quelli degli altri a cui devo rispondere.
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IL CONFLITTO COME RIFIUTO

DI SODDISFARE CIO’ DI CUI

ABBIAMO BISOGNO

Dal lat. CONFLICTUS urto, cozzo e questo da CON-FLIGERE

urtare una cosa con un’altra,

composta da CU=insieme e FLIGERE percuotere.

FLIGERE deriva dalla radice PLAG che è anche nella voce piaga

o nel greco THLIBO= premere, comprimere, opprimere

Combattimento, pugna.

Mentre il Conflitto psichico è uno stato di tensione e di squilibrio

in cui l’individuo viene a trovarsi

quando è sottoposto alla pressione di tendenze,

bisogni e motivazioni fra loro contrastanti.

Nel conflitto vado in collisione e in urto

tra quello che vorrei fare e quello che devo fare.

Il soggetto anela a situazioni molto diverse

da quelle vissute, molto più piacevoli,

ma ha deciso di anteporre ai propri i bisogni

quelli degli altri a cui vuole rispondere.

Il conflitto è il RIFIUTO

di ciò di cui abbiamo BISOGNO.

Quando arriva il conflitto siamo in un punto di

evoluzione biologica più avanzato,

dove la problematica della sopravvivenza è stata superata

e dove possiamo scegliere come indirizzare

e cosa fare della nostra energia.

Mi accorgo di avere molti altri bisogni

rispetto a quelli basilari relativi alla mera sopravvivenza,

ma anche se sono cosciente che ci sono molte cose piacevoli

che mi rendono felice,

ugualmente non riesco ad accettare di soddisfarli,

perché vengono prima i bisogni degli altri,

all’interno della mia famiglia.

La mia autocoscienza mi impone

di anteporre il bisogno degli altri al mio.

E’ come se mi chiedessi:

“Chi deve essere soddisfatto per prima?”

e la risposta a questa domanda

è che io vengo sempre dopo.

Non si tratta però di una questione

di mancanza di autostima, anzi è invece la coscienza

di una scelta che prendo liberamente.

Decido di essere al servizio dei bisogni dei miei cari,

della mia famiglia, del mio gruppo,

ma è una scelta che mi fa comunque soffrire

e che mi mette in conflitto.

Il conflitto produce malinconia:

non riesco a soddisfarmi non perché non voglio,

ma perché non posso.

Saprei bene come soddisfarmi,

ma le condizioni esterne (solitamente economiche)

non me lo consentono!

In un contesto di popoli di natura,

dove siamo più vicini all’aspetto biologico,

la gerarchia del soddisfacimento dei bisogni

segue la gerarchia relazionale.

Ad esempio in un villaggio dell’Africa quando c’è poco cibo,

prima mangiano gli adulti

e quelli più forti che devono andare a caccia,

poi le donne ed infine i bambini.

Ma questo non attiva nessun tipo di senso di colpa o di conflitto.

In un contesto come il nostro,

più lontano dal percepito biologico dell’inconscio,

si tende a fare il contrario e a privilegiare

il soddisfacimento dei bisogni dei più deboli,

mettendo in pericolo tutto il gruppo.

Solo se si garantiscono le forze dell’adulto responsabile,

questi potrà garantire il sostentamento

del maggior numero di persone della comunità.

Nel nostro conflitto occidentale

siamo assolutamente coscienti delle regole gerarchiche,

ma preferiamo volutamente sovvertirle

per attivare il proprio personale sacrificio.

Nel conflitto è insito il concetto di sacrificio

nel senso che la persona preferisce sacrificarsi

solo perché riesce meglio a gestire il proprio dolore

e la propria malinconia,

piuttosto che affrontare il dolore degli altri.

Così il mio bisogno entra in urto

con quello della persona per il quale mi sacrifico.

E’ il conflitto delle morali e delle visioni del mondo

che credono che la pace possa alimentarsi

dall’annullamento della mia morale e della mia visione.

Niente di più errato.

Se non ascolto il mio bisogno che preme sulla mia pelle,

questo si trasforma inevitabilmente

(come dice l’etimologia) in una piaga di dolore.

Sembra quasi che la persona sia infastidita

dal proprio avere ancora bisogni umani,

vorrebbe in verità essere al di sopra degli stessi

e dimostrare così la sua superiorità rispetto agli eventi materici;

ma alla fine deve riconoscere che quel bisogno

ancora mi percuote e mi affligge,

anche se ho deciso di agire per soddisfare i bisogni altrui.

IL CONFLITTO SERVE

AD ALIMENTARE IL DESIDERIO

Nella storia evolutiva umana

il soddisfacimento del bisogno primario

è quello che spinge l’essere umano all’azione.

Mangiare, proteggersi, riprodursi

sono le pulsioni primarie che devono essere soddisfatte

per permettere la propria stessa presenza nel mondo.

Il materno ha il compito biologico

di soddisfare immediatamente il bisogno del bambino

e rispondere alle sue richieste di cibo, protezione e affetto.

Il paterno ha invece il compito biologico di negare

il soddisfacimento immediato del bisogno

per tentare di procrastinarlo il più possibile nel tempo.

Questo fa nascere nel figlio il desiderio

che è sempre un bisogno non soddisfatto.

E’ il desiderio l’impulso più grande

che muove all’azione l’essere umano

e che si incarica di condurlo verso nuovi orizzonti evolutivi.

Quando i bisogni elementari sono tutti soddisfatti

si rischierebbe di fermare l’evoluzione

e di morire di inedia:

per questo alimentare il desiderio

è assolutamente necessario e vitale.

Entrare in conflitto con sé

per non riuscire a soddisfare il proprio bisogno

è così un espediente evolutivo della razza umana

che permette al singolo di alimentare il proprio desiderio,

urtando con i bisogni soddisfatti di chi gli è intorno.

Pian piano, a forza di urtare e premere,

il soggetto che resta nel conflitto e

rifiuta ciò di cui ha bisogno,

non sta che facendo crescere il proprio desiderio.

Nella sua immaginazione si crea la certezza

che in qualche luogo lontano ci sia la possibilità

di soddisfare tutti i bisogni della propria famiglia e quindi,

finalmente, anche i propri.

Il conflitto costruisce dunque una solida contrapposizione

tra la negazione del proprio bisogno

e l’aumento smisurato del proprio desiderio;

tra la necessità di accrescere il proprio sacrificio

e il pensiero che possa esistere un luogo

dove possa finalmente raggiungere la mia felicità.

Questo binario conflittuale

si spezza solo nella pulsione ad andarsene via di casa,

perché quella terribile tensione è proprio ciò

che permette alla persona di trovare il coraggio

per emigrare e tentare di cambiare la propria condizione di vita.

Dunque senza l’innesco del conflitto

la famiglia rischia di rimanere nel puro

soddisfacimento dei bisogni primari,

senza alcun sogno o desiderio personale da realizzare.

Senza alcuna tensione sociale o movimento evolutivo.

Anche il conflitto come la colpa e la rabbia,

nutre un odio preciso nei confronti della gerarchia

che desidera in qualche modo sovvertire,

o forse semplicemente sostituire.

Così nasce l’idea di tentare la fortuna

e migrare verso un luogo lontano dalla mia famiglia,

dove nessuno mi dirà cosa devo fare

e dove finalmente sarò il primo per me:

potrò pensare di soddisfare tutti i miei bisogni

e tentare di realizzare i miei sogni.

Ovviamente nel luogo dove si emigra

si ripeteranno tutte le problematiche conflittuali della vecchia famiglia.

La Cronogenetica toglie il conflitto del soggetto

e gli mostra come i bisogni delle persone

non possono mai essere in contrasto tra loro,

se riconosciamo e rispettiamo la corretta gerarchia.

Riconoscere che devo prima soddisfare

i bisogni del mio corpo e servirlo,

significa garantirsi la possibilità

di avere un corpo in perfetta salute psico-fisica

che potrà così adeguatamente servire noi

e i nostri obiettivi di vita.

 

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